I supporti analogici per la comunicazione audiovisiva
In questo capitolo verranno trattati i supporti fotografici e verrà fatto un
cenno ai supporti cinematografici di tipo analogico.
Anche se al giorno d'oggi nel campo della fotografia e della cinematografia
le tecnologie analogiche risultano in gran parte soppiantate dalle
tecnologie digitali, è sicuramente di grande interesse farne una
trattazione, anche se sintetica, utile sia per scopi storici, sia anche
perché si tratta di tecnologie ancora in parte attuali, o addirittura che
vengono talvolta riscoperte per le uniche qualità espressive che possono
permettere.
Parlando di tecnologie fotografiche tradizionali è invalsa l'abitudine di
utilizzare il termine "analogico", a volte anche un po' impropriamente.
Per capire pienamente il significato dei termini "analogico" e "digitale" si
rinvia tuttavia al capitolo
sui supporti digitali, dove verrà fatta chiarezza.
In questo capitolo i supporti analogici li chiameremo anche "supporti
fotografici e cinematografici tradizionali", ma si potranno chiamare anche,
in certi casi, e si capirà perché, materiali "argentici".
La fotografia
I supporti fotografici sono costituiti da una sostanza fotosensibile (ossia
sensibile alla luce), stesa su un supporto fisico.
La modalità con cui la sostanza utilizzata manifesta la sua fotosensibilità
può essere differente. Qui ci limiteremo a trattare i materiali
fotosensibili argentici, ossia quei materiali che utilizzano, quali composti
fotosensibile, i sali d'argento.
Le proprietà fotosensibili dei sali d'argento, così come di altre sostanze,
erano note da secoli, ma la prima vera e propria fotografia è attribuita a Nicéphore
Niépce ripresa dalle finestre del suo laboratorio con una lunga
esposizione, forse addirittura di alcuni giorni.
Il supporto fotografico utilizzato da Niépce era una lastra di peltro sulla
quale aveva steso uno strato di bitume di giudea, un asfalto
naturale che aveva la proprietà di indurire quando colpito dalla luce. Il
bitume non esposto veniva eliminato con un solvente.
Nicephore Niépce, "Vista dalla finestra di La Gras", 1826 - Harry
Ransom Center's Gernsheim collection, The University of Texas at Austin,
Public Domain
Fu Louis Daguerre, inizialmente un collaboratore di
Niépce, a utilizzare le proprietà fotosensibili dell'argento che permisero
di potere realizzare fotografie con esposizioni più brevi e quindi di
utilizzo più pratico. Il processo fotografico inventato da Daguerre, la dagherrotipia,
utilizzava una lastra di rame argentato che veniva sensibilizzata
esponendola a vapori di iodio, formando uno strato di ioduro
di argento sulla superficie. Daguerre scoprì che in questo modo si
poteva formare una debole immagine (l'immagine latente) che
poteva essere resa visibile esponendola ai vapori di mercurio.
L'invenzione di Daguerre fu resa pubblica all'Accademia Francese delle
Scienze nel 1839.
Il dagherrotipo poteva essere però riprodotto solo ri-fotografandolo su
un altro dagherrotipo, il che risultava certo poco pratico.
Fu Henry Fox Talbot, con la calotipia, che
superò questo scoglio: utilizzando come supporto della carta resa
sensibile mediante la stesura di una gelatina contenente sali d'argento,
riuscì a ottenere delle immagini negative che potevano essere riprodotte
in positivo quante volte si voleva ponendole a contatto con un altro
foglio di carta sensibilizzata ed esponendo il nuovo foglio attraverso il
negativo originale.
Per la sua fotografia Niépce aveva utilizzato la camera obscura
: sostanzialmente una scatola con un piccolo foro (foro stenopeico)
realizzato sulla parete opposta alla parete sul cui interno veniva posta
la lastra.
Un'antica camera obscura: il punto "A" riflette la luce con
cui è illuminato in tutte le direzioni, ma solo un raggio passa
attraverso il foro "C" illuminando la parete opposta nel punto "b". Lo
stesso dicasi per il punto "B" che illumina il punto "a". Sulla parete
si forma l'immagine capovolta della scena ripresa.
Presto alla camera obscura si sostituirono dei veri e propri apparecchi
fotografici, in cui il foro venne sostituito da una lente positiva, o da un
obiettivo (un sistema ottico costituito da diverse lenti, opportunamente
realizzate), con il grande vantaggio di potere ottenere un'immagine più
luminosa (e pertanto potere effettuare esposizioni più brevi).
Un apparecchio fotografico, nella sua forma più semplice, può essere
costituito da:
- il corpo, che è l'involucro nel quale sono contenuti i vari
componenti;
- il piano focale: sul quale è posto l'elemento fotosensibile
(che può essere la lastra, la pellicola fotografica - o il sensore
digitale negli apparecchi digitali);
- l'obiettivo: che può essere avvicinato o allontanato rispetto
al piano focale. Allontanando l'obiettivo dal piano focale è possibile
"mettere a fuoco" i soggetti più vicini e viceversa. Nella sua forma più
semplice è costituito da una sola lente positiva, altrimenti da un
complesso di lenti opportunamente dimensionate;
- il diaframma: un dispositivo interno all'obiettivo, che ne
allarga o diminuisce la pupilla, lasciando passare più o meno luce. Il
diaframma, quando chiuso, oltre a fare passare meno luce, permette di
avere una maggior "profondità di campo", ossia di avere a fuoco
contemporaneamente sia soggetti più lontani, sia più vicini.
- l'otturatore: un dispositivo che lascia passare la luce verso
l'elemento fotosensibile per un istante di durata predeterminata. Può
essere collocato internamente all'obiettivo, in prossimità del diaframma (otturatore centrale), oppure davanti all'elemento
fotosensibile. (otturatore sul piano focale, o "a tendina"). Una durata (o tempo) di esposizione più breve permette di
"fermare" soggetti in movimento, ma fa sì che meno luce raggiunga
l'elemento fotosensibile.
Schema di un apparecchio fotografico
La freccia rossa mostra che l'obiettivo poò essere spostato, avvicinandolo o allontanandolo dal piano focale, per effettuare la "messa a fuoco"
La freccia blu mostra il movimento che l'otturatore può effettuare, scoprendo momentanamente il materiale fotosensibile ed effettuare così l'esposizione. Nella figura l'otturatore è mostrato nel momento in cui si sta aprendo.
Una fotografia può essere ottenuta ponendo l'elemento fotosensibile
nell'apparecchio fotografico, oppure esponendo l'elemento fotosensibile
attraverso un'immagine trasparente posta a suo stretto contatto
(riproduzione a contatto)
I materiali fotografici
Gli elementi fotosensibili analogici, o supporti fotografici sono
costituiti dal supporto vero e proprio, che può essere:
- vetro (ormai assai raramente);
- pellicola trasparente (realizzata in un materiale plastico
che può essere principalmente acetato di cellulosa o poliestere), di uno
spessore attorno al decimo di millimetro o poco più;
- carta (che può essere baritata, ossia rivestita da una patina
- a base di solfato di bario, oppure politenata, ossia rivestita da una
sottilissima pellicola in polietilene).
Su tale supporto è stesa, in un sottilissimo strato, la sostanza
fotosensibile: l'emulsione fotografica, costituita da una
dispersione di sali d'argento all'interno di una gelatina di
origine animale.
È universalmente chiamata emulsione, ma in modo improprio, in
quanto fisicamente è in realtà una dispersione.
La gelatina deve avere la caratteristica di essere trasparente
e molto imbibibile dai liquidi.
I sali d'argento che trovano impiego nei materiali fotografici moderni
sono alogenuri di argento, principalmente il bromuro
d'argento (Ag+Br-), o il cloruro d'argento
(Ag+Cl-). Essi non sono solubili in acqua.
Hanno la caratteristica, se colpiti dalla radiazione luminosa, di
"impressionarsi", ossia di fare avvenire al loro interno una modificazione
non visibile che potrà essere rivelata (ossia resa visibile)
quando immersi in un'opportuna sostanza detta, appunto, rivelatore,
o sviluppo. Tale modificazione non visibile costituisce l'immagine
latente.
Il rivelatore, una soluzione acquosa basica, i
cui più comuni componenti sono l'idrochinone e il metolo,
ha la proprietà di distinguere i sali d'argento impressionati dalla luce,
e, effettuando una riduzione chimica di trasformare gli ioni Ag+
impressionati, e solo quelli, in argento metallico, lasciando inalterati
gli ioni Ag+ non impressionati. In pratica il rivelatore trasforma i sali
d'argento in argento metallico proporzionalmente alla quantità di luce che
hanno ricevuto nell'esposizione.
L'argento metallico che si viene a formare, essendo costituto da minuscoli
grani, ha la proprietà di assorbire la luce, apparendo pertanto come nero
all'osservazione.
È questo ciò che avviene nei materiali negativi in bianco e
nero, ed è dello studio di questi soltanto che, per il
momento, ci occuperemo.
Le zone dell'emulsione fotografica colpite dalla luce pertanto, una volta sviluppate
appariranno nere, e pertanto l'immagine risultante sarà negativa.
Un'immagine negativa
È sempre opportuno fare seguire al bagno di sviluppo un bagno di arresto,
in acqua o meglio in una soluzione acida (ad esempio acido acetico), che ha
la funzione di arrestare l'azione del bagno di sviluppo.
Una volta effettuato lo sviluppo sarà necessario asportare i sali d'argento
non impressionati, e quindi non sviluppati, mediante un bagno detto di fissaggio.
In questo bagno, che è una soluzione acquosa acida (il cui più importante
componente è il tiosolfato di sodio), i sali d'argento rimasti
nell'emulsione verranno trasformati in sali solubili in acqua.
Al fissaggio si fa seguire un prolungato lavaggio
in acqua, che ha la funzione di asportare i sali resi solubili dal
fissaggio.
Infine il supporto fotografico dovrà essere asciugato.
L'annerimento del supporto fotografico è pertanto, proporzionale
all'esposizione alla luce che ha colpito l'emulsione, ma anche all'azione
del rivelatore.
Per ottenere un'immagine positiva, a partire da un'immagine negativa, sarà
necessario riprodurla, ingrandendola, mediante l'ingranditore (che è un
proiettore che proietta il negativo su un altro supporto fotografico, in
genere carta fotografica), oppure mediante stampa a contatto. Il negativo di
un negativo risulterà un positivo.
La curva caratteristica
Per capire a fondo questi concetti è necessario conoscere alcuni
fondamentali concetti di fotometria.
La curva caratteristica è un grafico che descrive
l'annerimento del supporto fotografico in relazione all'esposizione
ricevuta.
In ordinate abbiamo le densità ottenute sulla
pellicola, dopo lo sviluppo, ossia l'annerimento, mentre in ascisse abbiamo
i valori dell'esposizione, di solito espressi in
scala logaritmica (ogni intervallo sull'asse delle ascisse corrisponderà
quindi a rapporto costante tra esposizioni).
Il piede mostra il valore dell'esposizione che
inizia ad avere effetti sul materiale fotografico, nel senso che inizia ad
impressionare e quindi ad annerire (dopo lo sviluppo) l'emulsione. Due
soggetti così poco illuminati da ricadere a sinistra del piede, non saranno
distinguibili.
La spalla mostra il valore dell'esposizione oltre
al quale non si avrà ulteriore annerimento, in quanto tutto il sale
d'argento viene trasformato in argento metallico. Due soggetti così tanto
illuminati da ricadere a destra della spalla, non saranno distinguibili.
Il tratto rettilineo rappresenta l'intervallo di
esposizioni utile.
Il velo mostra il lieve annerimento che si ha
comunque anche quando l'esposizione è insufficiente a creare un'immagine.
La sensibilità del materiale fotografico è in
relazione alla posizione del piede della curva caratteristica: confrontando
le curve caratteristiche di due diversi materiali si osserva che più il
piede è spostato verso sinistra, minore sarà la minima esposizione
necessaria a impressionarlo, e quindi maggiore sarà la sensibilità.
La sensibilità delle pellicole fotografiche (non
degli altri materiali fotografici analogici) si esprime con l'indice di
sensibilità ISO, di notazione apparentemente un po' strana (la stranezza è
dovuta al fatto che mette assieme le vecchie scale ASA e DIN). Per avere
un'idea del significato basta guardare il numeratore:
Ad esempio, se si hanno due pellicole:
- pellicola A, di sensibilità ISO = 50/18° (spesso detta, impropriamente
ISO 50, o anche ASA 50);
- pellicola B, di sensibilità ISO = 100/21° (spesso detta,
impropriamente ISO 100, o anche ASA 100);
la sensibilità della pellicola B risulta essere doppia rispetto a quella
della pellicola A, ossia sarà necessaria la metà di esposizione per
impressionare la pellicola B.
La pendenza del tratto rettilineo mostra invece il contrasto
del materiale fotografico.
Allungando il tempo di sviluppo, o la sua temperatura, è possibile, entro
certi limiti, aumentare il contrasto del materiale fotografico.
Altri materiali fotografici
Esistono materiali fotografici:
- negativi in bianco e nero (quelli descritti sopra);
- negativi a colori;
- invertibili a colori (permettono di ottenere direttamente l'immagine
positiva).
I materiali a colori hanno tre strati sovrapposti di emulsione,
sensibili, rispettivamente, al rosso, al verde e al blu, e durante
un particolare sviluppo, detto "cromogeno", formano dei coloranti cyan,
magenta e gialli rispettivamente.
Nei materiali negativi a colori il colore rosso, ad esempio, viene
riprodotto come il suo complementare, ossia il cyan.
Nei materiali invertibili a colori il colore rosso, ad esempio, viene
riprodotto direttamente come rosso (il termine invertibile si riferisce al
particolare trattamento che devono subire).
La sensibilità spettrale
Indica la sensibilità del materiale fotografico al colore della luce.
Abbiamo, ad esempio:
- materiali pancromatici (sensibili a tutti i
colori dello spettro visibile)
- materiali ortocromatici (non sensibili al
rosso)
- materiali blu-sensibili (sensibili al solo
blu)
- materiali IR (sensibili alla radiazione
infrarossa)
Un materiale ortocromatico, ad esempio, potrà essere maneggiato alla luce
rossa senza che da questa venga esposta. Un materiale pancromatico dovrà
essere maneggiato al buio assoluto.
I materiali a colori sono ovviamente sempre pancromatici.
Formati delle pellicole fotografiche
Limitandoci a più importanti formati, abbiamo:
- il formato 135, o 35mm, detto
anche formato Leica, o piccolo formato: si tratta di
una pellicola larga 35mm, con doppia perforazione, i cui fotogrammi
misurano 24 x 36mm;
Fotogramma nel formato 135
Un apparecchio fotografico 35mm
- il formato 120: senza perforazione, detto anche
medio formato, larga circa 6,3 cm. Permette, a seconda dell'apparecchio
in cui viene utilizzato, di registrare fotogrammi di diverse dimensioni,
le più comuni sono 6 x 4,5 cm, 6 x 6 cm, 6 x 7 cm, 6 x 9 cm;
Un apparecchio fotografico medio formato
(6x6 cm)
- 4 x 5 pollici, o 10 x 12 cm, grande formato,
pellicola piana (ossia non viene confezionata in rotoli ma in singoli
fogli);
- 8 x10 pollici, o 20 x 25cm, grande formato, pellicola
piana.
Un apprecchio grande formato da studio,
detto anche "banco ottico"
Il cinematografo e i materiali cinematografici analogici
Il principio di funzionamento del cinematografo si basa sui fenomeni della
persistenza dell'immagine sulla retina dell'occhio, e dai fenomeni di
ricostruzione cerebrale del movimento a partire da immagini statiche in
rapida sostituzione (fenomeni del phi e del beta).
Se quindi a volte si parla di "immagini in movimento" in riferimento al
cinematografo, si tratta in realtà di una rapida successione di immagini
statiche.
Un "flip-book" può far rendere bene conto dei fenomeni in gioco nel
cinematografo
Le immagini cinematografiche, dette fotogrammi, vengono riprese su una
pellicola cinematografica, che altro non è che una lunga pellicola
fotografica di opportuno formato con una macchina da presa.
La macchina da presa è in pratica un apparecchio fotografico in grado di
riprendere fotografie in rapida cadenza. La normale cadenza cinematografica
è di 24 fotogrammi al secondo.
La macchina da presa, in successione:
- apre e chiude l'otturatore (effettua la ripresa di un fotogramma);
- fa avanzare la pellicola, con l'otturatore chiuso;
- apre e chiude nuovamente l'otturatore (effettua la ripresa del
fotogramma successivo).
La pellicola cinematografica, una volta sviluppata, verrà proiettata con un
proiettore cinematografico in cui avviene l'operazione inversa: i fotogrammi
vengono proiettati in rapida successione sullo schermo, sempre 24 al
secondo.
Il proiettore, in successione:
- apre e chiude l'otturatore (proietta un fotogramma);
- fa avanzare la pellicola, con l'otturatore chiuso;
- apre e chiude nuovamente l'otturatore (proietta un fotogramma
successivo).
Lo spettatore non percepirà l'alternarsi di luce e buio in quanto questo
avviene in rapidissima successione.
I più usati formati cinematografici analogici
Tra i materiali cinematografici analogici citiamo:
Parlando di formati cinematografici è utile considerare anche il rapporto
di aspetto, o "aspect ratio",
ossia le proporzioni del fotogramma, e quindi dell'immagine proiettata. I
più comuni:
Un confronto tra il formato Academy 35 mm e il formato IMAX:
quello mostrato è il fotogramma sulla pellicola.
Livio Colombo
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