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Funzionamento degli impianti e delle apparecchiature nel ciclo produttivo

Il RIP

Abbiamo già visto che il RIP (Rasted Image Processor) è un computer dedicato alla gestione dei file di descrizione pagina e alla loro trasformazione in flussi di dati bitmap che potranno essere gestiti dal CTP o da una macchina da stampa digitale.

Un file di descrizione pagina è un file scritto in un liguaggio PDL (Page Description Language): PDF (Portable Document Format) è lo standard "de facto" tra i PDL, che ha ormai quasi completamente soppiantato il formato PostScript.

Esistono anche RIP software, che possono essere convenientemente utilizzabili quando il flusso di dati è abbastanza contenuto (ad esempio Ghostscript).

La generazione dei punti di retino, AM o FM, viene effettuata dal RIP, e spesso anche la fase di imposizione è svolta "in-RIP".

I dati bitmap generati dal RIP hanno una risoluzione che è quella del dispositivo di output comandato dal RIP stesso (ad esempio la fotounità CTP o la macchina da stampa digitale), risoluzione che è ben più alta delle immagini bitmap contenute nei file di descrizione pagina (queste in genere di almeno 300 DPI - più avanti si capirà il motivo): in genere almeno 6 ÷ 8 volte più alta.

La profondità di colore dei dati bitmap prodotti dal RIP è invece sempre di un solo bit per colore, indipendentemente dalla profondità di colore delle immagini di partenza (ingenere 8 bit per colore).

Per le immagini vettoriali e il testo contenuto nei file di descrizione pagina invece non si può parlare ovviamente di risoluzione, proprio per il fatto di essere elementi vettoriali, ma anche questi elementi verranno trasformati in dati bitmap nella stessa risoluzione del dispositivo di output.

In pratica, in quadricromia, per ogni pagina vengono generate 4 bitmap (una per colore) a risoluzione di almeno 1800 ÷ 2400 DPI, o anche maggiore, ma che non contengono variazioni tonali (si veda la descrizione più avanti).

Il RIP si pone un po' come il "ponte" tra la prestampa e la stampa, in quanto è quell'elemento che o comanda il funzionamento della fotounità (il CTP) che esporrà le lastre per la stampa, o la macchina da stampa digitale.

Le funzioni che svolge il RIP possono essere schematizzate come segue:



Ma vediamo il principio su cui si basa la creazione dei flussi di dati bitmap, ossia come avviene la trasformazione dei fati di testo, immagini bitmap e immagini vettoriali in punti.

La generazione dei punti RIP

Nel RIP avviene la trasformazione delle informazioni delle immagini vettoriali, del testo e delle immagni bitmap in informazioni che sono tutte di tipo bitmap. In pratica tutto "diventa bitmap" in quanto tutto deve diventare una zona stampante o una zona non stampante della lastra: la stampa lito-offset, ma non solo, è infatti un processo di stampa autotipico (e lo è ad esempio anche la flessografia, o la stampa digitale laser, per citare solo i processi più importanti).

Per generare il punto di retino è necessario partire dalle informazioni di colore contenute un certo numero di pixel. La qualità del punto aumenterà all'aumentare del numero di pixel che lo generano.

Si chiama fattore di qualità F il rapporto:

F = numero di linee di pixel : numero di linee di punti di retino

In genere un fattore di qualità pari a 2, permette di ottenere dei buoni risultati. Fattori più alti obbligano a partire da immagini grandi in termini di quantità di pixel senza che a questo corrisponda un reale aumento di qualità.

Con un fattore di qualità 2, sono necessari 2 x 2 = 4 pixel nell'immagine bitmap di input (l'immagine di partenza).

Ad esempio per generare un'immagine retinata con una lineatura LL=60 linee/cm (che è la normale lineatura per la stampa lito-offset di buona qualità), utilizzando F =2 sarà necessaria una risoluzione dell'immagine digitale di F x LL = 2 x 60 = 120 px/cm, che moltiplicato per circa 2,5 (per la precisione 2,54 che corrsiponde alla conversione cm/inch: 1 inch = 2,54 cm) dà una risoluzione di circa 300 DPI.

Ovviamente questo vale se l'immagine di partenza ha una dimensione specificata uguale all'immagine che verrà stampata. Se l'immagine di partenza fosse più piccola dovrà avere una risoluzione proporzionalmente maggiore.

Nell'esempio mostrato qua sotto i 4 pixel (per semplicità uguali) dell'immagine immagine bitmap di input hanno valori RGB con profondità 8 bit pari a: (203; 88; 24), che, trasformati in CMYK con un GCR al 75% danno, all'incirca dei valori CMYK: (5%; 50%; 75%; 15%):


Il RIP ritrasforma ogni pixel dell'immagine di partenza in un numero di pixel più elevato, che dipende dalla risoluzione del dispositivo di output (il CTP o la stampante digitale). È necessario che l'output abbia una risoluzione più elevata (nell'esempio mostrato la risoluzione del bitmap di output è 8 volte più elevata di quella dell'input) per avere una forma di punto (e del grafismo in genere) di forma accettabile.

Per stampare con una retinatura LL = 60 linee/cm è necessaria una risoluzione del file di input, alle stesse dimensioni della stampa:

LL x F = 60 · 2 = 120 pixel/cm ≈ 300 DPI

La risoluzione dei bitmap generati dal R.I.P. sarà in questo esempio di 300 x 8 = 2˙400 DPI.

Ma attenzione: mentre il bitmap di input ha un elevata profondità di colore (in genere 8bit, ossia 256 possibili valori, che rappresentano i possibili valori tonali), il bitmap di output ha sì una risoluzione più alta, ma soltanto 1 possibile valore tonale per colore.

Vengono così creati 4 bitmap (1 per colore di quadricromia) a 1 solo bit di profondità ciascuno, agglomerati a formare i punti di retino, approssimando la forma di punto desiderata.

Si veda nell'esempio mostrato i punti generati dal RIP  di forma quadrata, con i diversi orientamenti per i vari colori (C: 15°; M: 75°; Y: 90°; K: 45°).

A causa delle dimensioni microscopiche dei pixel (a 2400 DPI ogni pixel ha una dimensione di circa 0,011mm = 11µm), a causa della porosità e dell'irregolarità della superficie della carta, la "scalettatura" (aliasing) dei contorni dei punti non risulterà visibile in stampa.

Le cose funzionano  un po' diversamente se viene generato del punto di tipo FM (retino stocastico). Anche in questo caso il RIP ritrasforma ogni pixel dell'immagine di partenza nello stesso più elevato numero di pixel dipendente dalla risoluzione del dispositivo di output. Avendo a disposizione, ad esempio, lo stesso CTP dell'esempio precedente il bitmap di output sarà sempre a una risoluzione 8 volte più elevata dell'immagine di partenza, ma i "micropunti" prodotti sulla lastra avranno una disposizione casuale, e non agglomerati a formare dei punti quadrati (o tondi, o ellittici)

Anche gli elementi vettoriali verranno trasformati in bitmap, sempre nella medesima risoluzione. Anche qui l'elevata risoluzione non renderà visibile, in stampa, la "scalettatura":



E lo stesso vale anche per i font. Non ci si stupisca della apparente cattiva qualità del carattere digitale mostrato: a 2˙400 DPI di output corrisponderebbe a un corpo piccolissimo (circa 1,5 pt, nella pratica del tutto illeggibile) ma è mostrato a solo scopo esemplificativo:

Un altro esempio, corrispondente a una situazione più reale: il testo rappresentato è in corpo 12 (di solito il corpo impostato di default con una qualsiasi applicazione di scrittura), la risoluzione del RIP è 2400 DPI. Su una parte della "x" è sovrapposto il grafismo rasterizzato per rendersi conto del livello della "qudrettatura":

Si tenga presente invece che, nella rappresentazione di un immagine sul monitor, poiché la risoluzione del monitor è molto più "grossolana" (72 DPI su un monitor tipo CRT, ormai non più molto usati, qualcosa di più per i monitor più moderni), quando si deve rappresentare un immagine al tratto, o un carattere, i pixel dei contorni vengono sfumati in tonalità di grigio dal sistema anti-aliasing della scheda grafica.


Memorizziamo dunque i seguenti valori tipici di riferimento:

La linearizzazione del RIP : la correzione del dot gain

Nella stampa lito-offset avviene il fenomeno del dot gain: il punto di retino sulla lastra viene stampato sul foglio di carta leggermente più grande. Il fenomeno è dovuto al fatto che il caucciù è un materiale cedevole, che a causa della pressione di stampa si comprime allargando il grafismo. Il dot gain viene chiamato anche "aumento di punto", "schiacciamento di punto".

Il fenomeno si manifesta con un generico allargamento di tutti i grafismi, ma è particolarmente critico nelle immagini perché porta a indesiderate variazioni tonali e al fenomeno dell'"impastamento" o "chiusura", o ancora "schiacciamento" delle ombre. In pratica nelle zone più scure dell'immagine le variazioni tonali diventeranno illeggibili.

Il fenomeno dipende dalla pressione di stampa, ma è ineliminabile, poiché non si può stampare senza esercitare pressione di stampa, ed è insito nella stampa lito-offset.

L'entità del dot gain dipende dalla rigidezza del caucciù per cui è bene utilizare caucciù di buona qualità abbastanza rigidi.

Inoltre una certa macchina da stampa potrà dare valori di dot gai differenti da un'altra.

Dipende poi, e questo è l'aspetto più importante,  dal tipo di carta: stampando su carte macroporose i fenomeno del dot gain è assai marcato, mentre su carte patinate lucide assai più contenuto.

Non potendo eliminarlo però va in qualche modo compensato.

Il metodo è concettualmente semplice: sarà sufficiente conoscere l'entità del fenomeno per correggerlo. Se sappiamo quanto il punto si ingrossa trasferendosi dalla lastra al supporto, sarà sufficiente avere sulla lastra dei punti più piccoli. Questa operazione prende il nome di linearizzazione del RIP.

Stampando un foglio di prova con delle scale di controllo in cui sono presenti delle tacche di percentuale di punto crescenti (ad esempio di 10% in 10%) sarà sufficiente leggere, mediante densitometro, i corrispondenti valori delle percentuali di punto sullo stampato.


Questa ad esempio è la scala di controllo così come si presenta sulla lastra esposta dal CTP:

i numeri sotto ciascuna tacca rappresentano le percentuali di punto sulla lastra e servono di riferimento quando si effettua la lettura con il densitometro.

E questa invece è la stessa scala così come risulterà stampata sulla carta (con inchiostro nero):

i numeri in neretto rappresentano le percentuali di punto delle singole tacche come vengono lette dal densitometro.

 

Si vede l'effetto del dot gain sia leggendo i valori, sia osservando le tacche a maggior percentuale di punto, dove si vede che il fenomeno tende a "chiudere" i puntini bianchi (i contrografismi)

 

Il densitometro è uno strumento che, come dice il nome stesso, legge le densità della zona dove viene posto, in questo caso, sulle varie tacche che sono state stampato.

Come è noto la densità D è data da:

D = log(Øi/Ør)

dove:

Øi = flusso luminoso incidente

Ør = flusso luminoso trasmesso

quanto più una superficie è "scura", quanto maggiore è la sua densità.

Una superficie perfettamente bianca ha densità 0.

La densità, essendo il logaritmo di un rapporto, non ha unità di misura (è un numero puro).

Teoricamente la densità non ha un valore limite superiore.

A titolo di esempio un nero stampato in lito-offset su carta patinata lucida ha densità pari a circa 2.

Un nero stampato su carta da giornale ha densità attorno a 1,5, o anche qualcosa meno.

Quando il densitometro viene posto su una tacca retinata legge la densità "apparente" (che viene chiamata desità integrata), ossia la densità media, quella che in un certo senso viene percepita dal nostro occhio quando osserviamo la retinatura da una normale distanza, per cui non vediamo più i punti di retino, ma una certa tonalità.

È evidente che a percentuali di punto alte corrispondono densità integrate alte.

Al 100% di percentuale di punto corrisponde la massima densità possibile, detta densità del pieno (Dp), che è la densità di un "fondino" pieno.

Tra densità e percentuale di punto non c'è però una relazione lineare ma una relazione data dalla formula di Murray - Davies:

P% = (1 - 10-Di) / (1 - 10-Dp) · 100

dove:

P% = percentuale di punto

Di = densità integrata

Dp = densità del pieno

Per cui nota la Di con il calcolo si può trovare la P%.

Per valori di Dp abbastanza alti il denominatore diventa assai prossimo a 1 (per Dp = 2 il denominatore è 0,99), quindi in questo caso la formula di Murray - Davies si può semplificare nella formula di Yule:

P% ≈ (1 - 10-Di) · 100

I densitometri moderni di solito permettono la lettura diretta oltre che della Di anche della P% senza dovere effettuare alcun calcolo (lo effettuano direttamente).


Densitometro digitale

La relazione tra percentuale di punto e Di può essere anche rappresentata graficamnte:

In questo caso è stato posto Dp = 2 (è il valore massimo possibile di Di): si vede che la relazione tra Di e P% non è linare: a una Di pari al 50% di Dp non corrisponde una P% = 50%!

 

La relazione tra le percentuali di punto sulla lastra, sullo stampato, e il dot gain, potrà, ad esempio, essere riassunta in una tabella come questa:

P% sulla lastra 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100
P% sullo stampato 0 19 36 51 64 75 84 91 96 99 100
Dot gain 0
9
16
21
24
25
24
21
16
9
0

dove il dot gain è semplicemente la differenza tra la percentuale di punto sullo stampato e quella sulla lastra.

Si vede che il dot gain è 0 per i punti con percentuale di punto pari a  0%, ed è ovvio: non essendoci grafismo ci sarà poco da ingrossare. 

Si vede anche che il dot gain è 0 anche nelle zone con percentuale di punto pari al 100% (il "pieno", o fondini), ed è ovvio: essendoci già il 100% il punto non potrà ingrossare ulteriormente.

Si vede infine che le maggiori percentuali di punto si hanno per i valori intermedi (attorno al 50%) delle percentuali di punto sulla lastra.

In questo esempio il dot gain massimo è il 25%, che è un valore piuttosto elevato, tipico di carte macroporose.

Esemplificando con dei grafici il fenomeno si avranno:


"curva di riconoscimento della stampa"  o "curva di riproduzione tonale" (TRC)



curva del dot gain: attenzione che sull'asse orizzontale si mette la P% di stampa. 

Questa curva permette di vedere di quanto il RIP dovrà diminuire il punto in fase di esposizione della lastra.

La linearizzazione del RIP consiste proprio in questo: nell'impostare nel RIP, avendo fatto una prova di stampa come quella illustrata, i valori di diminuzione della percentuale di punto che dovrà dare per compensare correttamente il dot gain.

È  evidente che poiché il dot gain dipende dalle condizioni della macchina da stampa, e anche dal tipo di carta impostata, non sarà possibile avere un'unica linearizzazione del RIP, ma sarà necessario, per ogni lavoro, richiamare i valori impostati, a seconda della macchina da stampa e del tipo di carta che verrà utilizzata.


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Livio Colombo
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