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La gestione digitale del colore
L'obiettivo della gestione del colore (color management) può essere
visto come quello di "mantenere" il colore sui diversi dispositivi, ossia di
riprodurlo nel modo il più fedele possibile.
Nella gestione digitale del colore i colori sono rappresentati da numeri, ma
abbiamo già visto che i vari dispositivi interpretano il colore in modo
differente. Infatti i dispositivi digitali codificano il colore con una
serie di numeri (di solito tre o quattro), ma questi numeri non hanno
significati uguali, o anche se lo hanno non vengono rappresentati come gli
stessi colori.
Si pensi a un monitor che codifica i colori come valori R, G, B compresi tra
0 e 255, e si pensi a una stampante i cui i colori possono essere
caratterizzati rappresentandoli come percentuali di punto (comprese tra 0 e
100%).
Ma si pensi anche a due differenti monitor, sui quali due differenti terne
R, G, B generano due colori un poco diversi.
Fatevi un giro in un negozio di televisioni, anche se sono accese sullo
stesso canale, e vi renderete facilmente conto che i colori sono tutti
diversi (suggestione questa che mi è stata suggerita dal blog
di Mauro Boscarol, che è una miniera di informazioni sulla gestione
del colore)
In pratica ogni dispositivo "parla la sua lingua": se vogliamo "mantenere"
il colore sui diversi dispositivi dobbiamo tradurre correttamente queste
lingue.
Dispositivi di input e dispositivi di output
- Sono dispositivi di input quelli che catturano
il colore:
- fotocamera digitale;
- scanner.
- Sono dispositivi di output quelli che generano
il colore:
- monitor;
- stampante (intendendo come dispositivo anche i suoi toner
e la carta utilizzata);
- macchina da stampa a impatto (intendendo come dispositivo
anche quello che produce le forme da stampa - di solito una fotounità,
i suoi inchiostri e la carta utilizzata).
Ricordiamo che gli spazi cromatici relativi quelli che dipendono
da un dispositivo.
Ognuno di questi dispositivi ha pertanto il suo spazio cromatico.
Per metterli in relazione tra loro, ossia per essere in grado di
rappresentare lo stesso colore, sarà necessario essere in grado di passare
dallo spazio cromatico relativo a un dispositivo, allo spazio cromatico
relativo a un altro dispositivo.
Diciamo fin d'ora che questo è un obiettivo al quale è spesso necessario
parzialmente rinunciare, accontentandosi di rappresentare il colore in un
modo non uguale, ma quanto più possibile simile. Questa operazione
prenderà il nome di intento di rendering.
I profili di colore
Il modo più logico per mettere in relazione tra loro gli spazi cromatici
relativi di ciascun dispositivo, è quello di mettere in relazione lo spazio
cromatico relativo di ogni dispositivo con lo spazio colorimetrico assoluto.
Il profilo di colore di un dispositivo può essere visto come una regola
o metodo che permette di mettere in relazione le coordinate
cromatiche (relative al dispositivo) con le coordinate colorimetriche
(assolute).
Questa regola o metodo può presentarsi sotto forma di trasformazione
(un insieme di formule matematiche), o di tabella che mette in
relazione le coordinate cromatiche dello spazio relativo del dispositivo con
quelle assolute.
Ad esempio un certo monitor può essere caratterizzato da una trasformazione
del tipo:
X = ƒX (R, G, B)
Y = ƒY (R, G, B)
Z = ƒZ (R, G, B)
per cui una terna di valori R, G, B, genererà sul monitor un certo colore X,
Y, Z (mettendo tre valori R, G, B in ciascuna delle tre formule otterrò tre
valori X, Y, Z)
Una fotocamera invece potrà essere caratterizzata da un profilo in forma di
tabella che mette in relazione le coordinate colorimetriche di un certo
numero di colori con i valori con cui la fotocamera li codifica. Ad esempio:
|
L* |
a* |
b* |
R |
G |
B |
colore 1 |
54 |
81 |
70 |
255 |
5 |
4 |
colore 2 |
88 |
-79 |
81 |
3 |
255 |
5 |
... |
|
|
|
|
|
|
È chiaro che i colori memorizzati in tabella non possono essere infiniti.
Per conoscere i valori R, G, B a partire da qualsiasi terna L*, a*, B* sarà
pertanto necessario, per quei colori che non sono memorizzati, interpolare
i relativi valori a partire dai colori più prossimi.
Dispositivi di origine e di destinazione
I dispositivi di input, che possono solo catturare il colore, possono
essere solo dispositivi di origine della conversione del colore,
mentre i dispositivi di output, possono essere sia di origine
che di destinazione.
Un monitor può essere pensato come un dispositivo di destinazione,
quando è usato semplicemente per visualizzare delle immagini, rendendo
visibili i colori, ma può essere pensato anche come un dispositivo di origine,
quando mi permette di visualizzare il colore per modificarlo, e
successivamente di confermarlo (si pensi, ad esempio, a un immagine creata
a monitor, usando un programma di disegno come Adobe Illustrator@ o
Inkscape, o una fotografia i cui colori vengono volutamente modificati con
Adobe Photoshop@ o con Gimp).
Anche una stampante è normalmente un dispositivo di destinazione,
ma può essere pensata anche come un dispositivo di origine
quando mi servirà a prevedere il risultato che si otterrà con un'altra
stampante, come nelle prove colore.
L'International Color Consiortium (ICC: www.color.org)
definisce le caratteristiche che devono avere i profili (denominati profili
ICC) allo scopo di permettere la standardizzazione e la
comunicazione tra diversi dispositivi.
Un profilo ICC può essere incorporato in un file di immagine di tipo TIFF,
JPEG, GIF, PNG, PDF (e altri), ossia come un'informazione aggiunte al file,
e descriverà le caratteristiche, in termini di corrispondenza del colore,
del dispositivo che ha generato quel file, ma può esistere anche come
profilo presente nel sistema operativo (è un file con estensione .icc o
.icm, ed è mutipiattaforma).
Per meglio capire si pensi al flusso di lavoro che segue:
- con una fotocamera viene effettuata la ripresa di una scena reale: la
fotografia sarà un file che conterrà i valori R, G, B per ognuno dei
suoi pixel. A ogni colore reale (del quale sono definibili le sue
coordinate colorimetriche assolute), corrisponderà una terna di valori
R,G,B.
Ma qui c'è già un limite: non è detto che tutti
i colori reali siano rappresentabili dal sensore della fotocamera. O
meglio, in un qualche modo verranno tradotti in valori R, G, B, ma alcuni
colori reali, quelli fuori dal gamut della fotocamera, anche se diversi
potrebbero essere rappresentati con la stessa terna R,G,B. Non ci si può
fare nulla: dipende dalle caratteristiche della fotocamera e del suo
sensore, e sicuramente una fotocamera che riuscirà a differenziare più
colori sarà preferibile, ma dei limiti rimarranno sempre;
- si riproduce poi la fotografia sul monitor. Ma per essere sicuri che
la fotografia rappresenti i colori della realtà, è necessario che alle
terne R,G,B che vengono inviati al monitor corrispondano sul monitor dei
colori aventi le stesse terne di coordinate colorimetriche assolute che
avevano i colori reali;
- si stampa la fotografia. I valori R,G,B verranno convertiti in
percentuali di C, M, Y, K. Ma anche qui è necessario che le coordinate
colorimetriche assolute cui corrispondono i valori R,G,B, siano uguali
alle coordinate colorimetriche assolute cui corrispondono le quaterne
C,M,Y,K ottenute.
E questo è un problema in genere non del
tutto superabile: il gamut della stampante è in genere più piccolo di
quello del monitor (e della fotocamera), quindi dovremo accettare che il
colore si modifichi. Dovremo però decidere come modificarlo,
applicando un adeguato intento di rendering.
Profili dei dispositivi di input
Profilatura della fotocamera
Per profilare una fotocamera, ossia per crearne il profilo di
colore, sarà necessario riprendere con quella fotocamera un target, ossia
una tabella riportante dei colori di cui sono note le coordinate
colorimetriche, e mettere in relazione ogni colore (e quindi i valori ad
esempio L*, a*, b*) con i valori RGB corrispondenti prodotti nel file
immagine.
Un target Mcbeth Colorchecker, uno dei più diffusi e affermati sistemi di
profilatura per fotocamere
Il profilo ottenuto dipenderà dalla fotocamera utilizzata,
dall'illuminazione utilizzata, dal formato del file generato (Raw, JPEG,
DNG), dalla sensibilità del sensore impostata ed eventualmente da altre
impostazioni della fotocamera.
Profilatura dello scanner
Analogo procedimento è quello di profilatura di uno scanner. Il target che
costituisce uno standard è il target IT8, in due versioni, una opaca per
lettura a riflessione, e una trasparente per lettura in trasparenza.
Un target IY8 per lettura per riflessione
Ogni quadratino colorato ha una colorimetria nota (ossia coordinate
colorimetriche note), nel senso che è stata misurata dal fabbricante del
target.
Importando il file ottenuto con una opportuna applicazione si genererà
automaticamente il profilo in forma di tabella: l'applicazione metterà nella
stessa riga della tabella i valori R, G, B prodotti dal file con i valori
colorimetrici (ad esempio (L*, a*, b*) del target che sono noti.
Profili dei dispositivi di output
Profilatura del monitor
La profilatura dei monitor comporta la necessità di generare una serie di
colori con coordinate R, G, B note, e misurarne mediante colorimetro le
coordinate colorimetriche dei colori generati. La procedura viene fatta
automaticamente ponendo la sonda del colorimetro sul monitor mentre
l'applicazione genera, in successione, i vari colori.
In realtà, poiché questa operazione comporta la necessità di utilizzare un
costoso strumento (il colorimetro), e poiché i monitor hanno in genere
una buona consistenza del colore (ossia generano colori con caratteristiche
abbastanza costanti nel tempo), si utilizza di solito questa procedura solo
per i monitor utilizzati per applicazioni più rigorose (ad esempio per prove
colore "soft").
Per i monitor di uso più normale si utilizzano invece dei profili standard,
che si riferiscono a degli spazi colore standard, e la calibrazionedel
monitor, per assicurarsi la costanza dei risultati, può avvenire con sistemi
che si affidano al confronto visivo, sistemi che sono presenti come
applicazioni nel sistema operativo.
- il profilo sRGB è quello utilizzato per i monitor di uso corrente;
- il profilo Adobe RGB, con un gamut un po' più ampio, più adatto per
applicazioni professionali;
- il profilo ProPhoto RGB, sviluppato dalla Kodak, ha un gamut ancora
più ampio, preferibile per applicazioni più critiche, come la stampa
"fine art".
Profilatura della macchina da stampa
La profilatura della macchina da stampa, o meglio, del sistema costituito da
fotounità, lastre, macchina da stampa, inchiostri può essere fatta stampando
delle zone di colore ad inchiostrazione nota, ossia valori C, M, Y, K noti,
che poi sono delle percentuali di punto, e rilevando i corrispondenti valori
colorimetrici assoluti L*, a*, b* mediante colorimetro.
Sono necessarie, in genere, delle zone che riproducono i valori di pieno
(100% di percentuale di punto) per i colori della quadricromia, le
sovrastampe dei pieni, e le scale dei singoli colori con percentuali di
punto via via crescente (ad esempio 10, 20 ... 90, 100%)
Misurando col colorimetro le varie zone sarà possibile costruire il profilo
sotto forma di tabella.
Esistono dei profili standard (o profili generici) che possono essere intesi
come "profili obiettivo". Non corrispondono a una stampante o macchina da
stampa reale, ma a una stampante o macchina da stampa regolata in modo da
dare dei risultati prevedibili.
Tra questi sono assai utilizzati i profili sviluppati dalla FOGRA, che è una
organizzazione tedesca di ricerca sulle tecnologie grafiche.
FOGRA propone delle caratterizzazioni del processo di stampa e delle
stampanti in genere, contrassegnate da una sigla, ad esempio:
- FOGRA 39 per stampa offset a foglio su carta patinata lucida e opaca;
- FOGRA 28 per stampa offset a bobina su carta patinata;
- FOGRA 29 per stampa offset a bobina su carta non patinata;
- ...
Tali caratterizzazione indicano le caratteristiche colorimetriche che
dovrà avere un stampato secondo la caratterizzazione specificata.
Ad esempio uno stampato secondo la caratterizzazione FOGRA 39 dovrà avere
le seguenti coordinate L*a*b*:
inchiostro o sovrastampa
|
L* |
a* |
b* |
K (100%) |
16 |
0 |
0 |
C (100%) |
54 |
-36 |
-49 |
M (100%) |
46 |
72 |
-5 |
Y (100%) |
87 |
-6 |
90 |
R (M+Y) |
46 |
67 |
47 |
G (Y+C) |
49 |
-66 |
24 |
B (C+M) |
24 |
16 |
-45 |
C+M+Y |
22 |
0 |
0 |
(è la stessa tabella riportata, come esempio, nel paragrafo "Lo spazio
CIE 1976 nelle coordinate colorimetriche L*, a*, b*", alla pagina
precedente).
La caratterizzazione FOGRA dà poi delle indicazioni sulle modalità di
misurare il colore, su quali sono le tolleranza ammesse, e i valori
colorimetrici alle varie percentuali di punto.
Se la conversione di un'immagine RGB in CMYK, che dovrà essere stampata in
offset a foglio su carta patinata, viene fatta utilizzando come profilo il
file ISOcoated_v2_eci.icc, (incorporandolo nel file pdf) che è il profilo
valido per la caratterizzazione FOGRA 39, si ha la (quasi) certezza che
calibrando la fotounità e regolando l'inchiostrazione della macchina da
stampa secondo le specifiche si otterrà uno stampato con le
caratteristiche previste.
Ecco perché abbiamo parlato di "profilo generico": non si tratterà di
regolare la macchina da stampa (il sistema) in un certo modo e di ottenere
il profilo conseguente, ma di regolare la macchina da stampa (il sistema) in
modo da ottenere il profilo standardizzato.
Gli intenti di rendering
Abbiamo visto come l'obiettivo della gestione colore di mantenere
un colore reale nella riproduzione con i vari dispositivi non è sempre
possibile raggiungerlo, ma che in generale ci si dovrà accontentare di "quasi
mantenerlo".
Si guardi la figura qui sotto:
Nel piano di cromaticità CIE 1931 sono rappresentati il gamut (il triangolo)
di un generico monitor e il gamut (l'esagono irregolare) di una possibile
stampante (non è certo la maniera più pratica di rappresentare i colori di
stampa: per i colori superficiali è stato inventato apposta lo spazio CIE
LAB, ma qui abbiamo usato lo spazio CIE 1931 per comodità di rappresentare i
colori di due dispositivi diversi, e per più agevolmente capire il concetto)
Il colore C è visualizzabile sul monitor (è all'interno del suo gamut) ma
non è stampabile (è all'esterno del gamut della stampante).
Per poterlo stampare dovrà essere portato dentro il gamut del dispositivo di
destinazione, dovrà quindi essere modificato.
Ma modificarlo come? Ci sono infiniti modi di modificarlo. Nell'esempio
abbiamo visto che è stato spostato verso il colore acromatico, ma è sempre
il modo migliore?
Si badi che per semplicità di rappresentazione grafica l'operazione è stata
rappresentata nel piano di cromaticità, ma la modifica del colore dovrà in
gener avvenire anche per quanto riguarda l'attributo della chiarezza.
Sarebbe necessario mostrare l'operazione in uno spazio tridimensionale, ma
la figura verrebbe assai più complicata, e quindi alla fine più
difficilmente comprensibile.
Nel grafico si vede che i più saturi colori stampabili sono in generale (ma
non tutti) meno saturi dei più saturi colori rappresentabili a monitor.
Non si vede invece che il nero stampabile (il "fondino" nero di stampa,
stampato con inchiostro nero) in generale non è un nero "profondo" come il
nero del monitor.
Non si vede neanche che il bianco di stampa (il bianco carta) è in genere
meno bianco del bianco del monitor.
La modifica del colore per potere rappresentare un colore su un altro
dispositivo, prende il nome di intento di rendering, e i criteri
di modifica sono diversi, criteri che dovranno essere scelti di caso in
caso, e saranno piò o meno adatti al tipo di lavoro che si deve realizzare.
Poiché si può modificare un colore in infiniti modi, gli intenti di
rendering sono infiniti, ma ne sono stati codificati cinque diversi:
- rendering colorimetrici:
- assoluto
- relativo
- relativo con compensazione del punto di nero;
- rendering non colorimetrici:
- percettivo;
- satutrazione.
- Nel rendering colorimetrico assoluto si mantiene la
colorimetria dei colori di origine quando è possibile, mentre la si
modifica (desaturando, schiarendo o scurendo), quando non è possibile.
Trasformando un file da RGB a CMYK con
rendering colorimetrico assoluto si potrà simulare la cosa sul monitor: il
bianco verrà visualizzato come un bianco "sporco" (per simulare il bianco
della carta) e il nero come "sbiadito" (per simulare il nero di stampa). È
il rendering che viene utilizzato per le prove colore "soft", ossia quelle
a monitor.
- Nel rendering colorimetrico relativo il bianco del
dispositivo di origine viene invece riprodotto con il bianco del
dispositivo di destinazione. La simulazione a monitor sarà meno reale,
ma più "gradevole": il bianco del monitor (255, 255, 255) corrisponderà
al bianco della carta (0%, 0%, 0%, 0%).
- Nel rendering relativo con compensazione del punto di nero
invece anche il nero del dispositivo di origine viene invece riprodotto
con il nero del dispositivo di destinazione. Nella simulazione a monitor
il nero del monitor (0, 0, 0) corrisponderà al nero stampato
(0,0,0,100%).
- Nel rendering percettivo i colori vengono modificati
cercando di mantenere quanto più costanti i rapporti cromatici tra di
loro. Poiché i colori fuori gamut di destinazione dovranno essere
desaturati (e schiariti o scuriti), si desatureranno (e schiariranno o
scuriranno) anche gli altri (anche quelli che sarebbero riproducibili
dal dispositivo di destinazione senza modificarli) allo scopo di
mantenere quanto più costanti i rapporti cromatici tra i vari colori.
Questo intento di rendering è più adatto per la stampa di immagini
fotografiche a colori. Nel rendering percettivo si mantiene la tinta a
scapito della chiarezza che viene eventualmente modificata, e a scapito
della saturazione che viene sempre ridotta.
- Nel rendering saturazione invece i colori vengono modificati
cercando di mantenere la saturazione a scapito eventualmente della tinta
e della chiarezza che vengono modificate. È utile in quelle
illustrazioni grafiche dove è importante avere le massime saturazioni.
La quadricromia e la rimozione della componente grigia.
Sappiamo che il colore ha una natura "a tre dimensioni": gli attributi
del colore sono 3 proprio perché i coni nel nostro occhio sono di 3
famiglie diverse, e infatti si parla di tristimolo.
Lo spazio colorimetrico (assoluto) ha infatti tre coordinate, ma gli
spazi cromatici (relativi) possono avere anche più di tre coordinate.
Quando effettuiamo una conversione da uno spazio, assoluto o relativo, a
3 coordinate, a un altro spazio a 3 coordinate, ad esempio da RGB a CMY,
la conversione possibile (a meno dell'applicazione del rendering) è
una sola (in realtà, come abbiamo, visto la conversione avverrà in due
passaggi: da RGB a spazio assoluto, e da spazio assoluto a CMY,
eventualmente applicando il rendering).
Ricordiamo che parlando di coordinate CMY, o CMYK si utilizzano per le
stesse dei valori che corrispondono alla percentuale di punto, ossia a:
- P% = [Agrafismo / (Agrafismo + Acontrografismo)]·100
= (Agrafismo / Atotale )·100
dove:
- P% è la percentuale di punto
- Agrafismo è l'area occupata dal grafismo, nell'area
considerata;
- Acontrografismo è l'area occupata dal contrografismo,
nell'area considerata;
- Atotale è l'area considerata.
Pertanto le coordinate CMYK vanno da 0 a 100%.
Un colore CMYK con coordinate 0, 0, 0, 0 corrisponde al bianco della
carta.
L'algoritmo "1 meno"
La conversione da RGB a CMY può avvenire
passando attraverso lo spazio colorimetrico assoluto, noti i profili di
colore dei dispositivi di origine e di destinazione:
- RGB --->[profilo dispositivo di
origine]---> Spazio Colorimetrico Assoluto --->[profilo
dispositivo di destinazione]---> CMY
oppure attraverso un sistema più "primitivo"
che non utilizza i profili colore, il cosiddetto "algoritmo 1
meno", che veniva utilizzato nel linguaggio PostScript® Level
2 (Postscript® è un Page Description Language), che permette la
conversione diretta da RGB a CMY:.
Tale metodo ha più che altro un valore storico, oppure risulta un metodo, semplice e intuitivo, per ragionare in modo immediato sul passaggio dallo spazio RGB allo spazio CMY, anche se i risultati che dà non sono certamente accurati:
- RGB --->[algoritmo 1 meno]--->
CMY
L'algoritmo 1 meno è molto semplice:
C = (1 - R / 255) · 100
M = (1 - G / 255) · 100
Y = (1 - B / 255) · 100
Le relazioni inverse sono:
R = (1 - C/100) · 255
G = (1 - M/100) · 255
B = (1 - Y/100) · 255
È evidente che, mancando i profili per la
conversione del colore dei dispositivi, la conversione con questo
sistema non potrà essere accurata.
Un algoritmo un po' più accurato, è il seguente, una sorta di algoritmo "1 meno corretto":
C = [1 - (R / 255)2,2] · 100
M = [1 - (G / 255)2,2] · 100
Y = [1 - (B / 255)2,2] · 100
le cui relazioni inverse sono:
R = (1 - C/100) 0,45 · 255
G = (1 - M/100) 0,45 · 255
B = (1 - Y/100) 0,45 · 255
(dove 0,45 è circa pari a 1/2,2)
L'utilizzo del nero
Ma quando la conversione avviene verso uno spazio a 4 coordinate, ad
esempio CMYK, le trasformazioni possibili sono infinite.
Perché allora si usa una quarta coordinata? In altre parole perché si usa
la quadricromia anziché la tricromia? Ed è proprio necessario usarla?
Alla domanda se è proprio necessario usare la quadricromia, rispondiamo
che no, ma nella stampa in pratica lo è. Nella produzione di immagini
fotografiche a colori su pellicola invece (fotografica o cinematografica)
si usano solo tre coloranti C, M, Y e non il nero.
In stampa invece l'utilizzo del nero è praticamente indispensabile per i
seguenti motivi:
- la sovrapposizione di C, M, Y non dà un nero profondo come quello che
dà un inchiostro nero;
- con la sola sovrapposizione di C, M, Y è più critico avere un buon
bilanciamento e i grigi risulteranno spesso non neutri;
- utilizzando il nero è possibile ridurre la quantità di C, M, Y, e
questo ha diversi vantaggi:
- l'inchiostro nero costa meno;
- si usa complessivamente meno inchiostro, e quindi anche per questo
si risparmia;
- usando meno inchiostro, questo essicca più in fretta:
- si riducono i problemi di "rifiuto" nella stampa umido su umido (il
rifiuto si manifesta quando l'inchiostro stampato su un altro
inchiostro non ancora essiccato non aderisce completamente).
- infine il nero è necessario per la stampa dei testi, in quanto se
venisse stampato come sovrapposizione di C, M, Y si avrebbero facilmente
problemi di registro, e quindi di scarsa nitidezza del testo (e anche
qui si avrebbero neri meno profondi)
In pratica se non si usasse il nero, in stampa il gamut, nello spazio
L*a*b*, risulterebbe inutilizzato nella parte più bassa, che corrisponde
ai neri più profondi.
Si pone allora il problema di sostituire gli inchiostri C, M, Y con un
quantitativo di nero che dia lo stesso risultato cromatico.
Tradizionalmente in quadricromia l'uso del nero era utilizzato proprio
per "rinforzare",
ossia per aumentare la densità delle parti neutre più scure. Questo
però non riduce le componenti C, M, Y, ma semplicemente aggiunge K
quando si hanno valori di C, M, Y alti e simili tra loro. Si parlava
di "nero aggiunto", o "nero scheletrico".
Con l'introduzione
dei sistemi di prestampa digitale, ma in realtà anche prima, si è
iniziato a fare uso del metodo UCR
(Under Color Removal, ossia "rimozione del sottocolore"): con l'UCR il
nero viene sempre aggiunto nelle zone in cui si hanno valori
di C, M, Y alti e simili tra loro, ma contemporaneamente vengono tolte
una quantità di C, M, Y ("under color removal") che danno un
nero corrispondente al K aggiunto.
Il metodo GCR,
appannaggio della gestione del colore digitale, aggiunge K e toglie la
corrispondente quantità di C, M, Y anche nelle zone chiare e non
neutre.
Il GCR (Gray Component Removal)
Questo procedimento prende il nome di Gray Component Removal
(rimozione della componente grigia, e sostituzione con il nero), e la sua
impostazione modifica la conversione da RGB a CMYK. L'impostazione del GCR
si può fare con Photoshop®, o con le impostazioni del RIP che comanda la
fotounità.
Il principio è questo: se la conversione da R,G,B a C,M,Y dà, per un
certo pixel, ad esempio i valori:
si potrà rimuovere ("removal") una certa quantità di quei colori
e sostituirla con una egual quantità di nero. In pratica, poiché il valore
inferiore, per quel pixel, è il Cyan, si può togliere a tutti e tre i
colori un valore, che al massimo potrà essere il valore del più piccolo
(40%), e sostituirlo con altrettanto nero. Ad esempio, se togliamo
il 20%:
- C = 40 - 20 = 20%
- M = 60 - 20 = 40%
- Y = 70 - 20 = 50%
- K = 20%
È facile verificare che il quantitativo totale dell'inchiostro è
diminuito, da 40 + 60 +70 = 170%, a 20 + 40 + 50 + 20 = 130%
Non abbiamo però rimosso (e sostituta) completamente la componente
grigia, ma solo parzialmente. Il GCR è stato applicato solo parzialmente.
Potremo anche effettuare una rimozione totale (per cui
in quel pixel non ci sarà più Cyan) portando i valori a:
- C = 40 - 40 = 0%
- M = 60 - 40 = 20%
- Y = 70 - 40 = 30%
- K = 40%
Il valore totale, in questo caso, è diminuito da 170% a 90%.
In questo caso il GCR è stato applicato al 100%.
In realtà l'esempio mostrato è un po' semplificato: il quantitativo di C,
M, Y rimosso non sarà esattamente uguale per tutti e tre i colori, e il
nero che li sostituisce sarà un valore un poco diverso.
L'entità della rimozione da scegliere (l'entità del GCR) dipende dal tipo
di immagine. In linea di massima:
- con immagini con molti dettagli nelle zone scure è meglio non
esagerare, perché il nero rischia di nascondere i dettagli;
- con immagini in cui le parti importanti hanno colorazione neutra è
opportuno utilizzare un GCR più alto.
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Livio Colombo
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