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Metodi di analisi di mercato

Il mercato e i fattori della produzione

Il mercato

"In senso concreto, il luogo dove avvengono le contrattazioni per la vendita e l’acquisto di determinati prodotti e dove normalmente si incontrano, tutti i giorni, o in giornate stabilite, compratori, venditori e intermediari per effettuare transazioni commerciali relative a merci varie o anche a una sola merce. Per estensione, l’insieme degli operatori legati tra loro in determinati rapporti d’affari o, sotto altro aspetto, l’insieme delle operazioni relative a un determinato bene o gruppo di beni" (definizione tratta da Enciclopedia Treccani on-line www.treccani.it/enciclopedia/mercato/).

In altre parole: il luogo (inteso come ambito) dove si incontrano la domanda e l'offerta.

Ma si può estendere il concetto di mercato non solo ai beni, ma anche ai servizi.

Esempi: il mercato cartario (beni),  il mercato dei trasporti (servizi).


I fattori della produzione

In economia classica (Adam Smith - Scozia: 1723-1790 e David Ricardo - Inghilterra: 1772-1823) si considerano i tre fattori della produzione:

Si può estendere il concetto di "terra" a ciò che è destinato a essere trasformato: la materia prima e  il concetto di "capitale" a ciò che si utilizza per trasformare la materia prima in prodotto: i beni strumentali. Per "lavoro" si intende il lavoro umano, sia manuale che intellettuale.

I fattori della produzione concorrono alla produzione dei beni e dei servizi.

Un processo produttivo porta pertanto a trasformare la materia prima in prodotto attraverso l'utilizzo (diretto o indiretto) dei beni strumentali.

Il prodotto

In senso letterale è: "Tutto ciò che la terra produce o che costituisce il risultato di un’attività umana" (definizione tratta da Enciclopedia Treccani on-line www.treccani.it/enciclopedia/prodotto/)

Più specificamente, in economia, è ciò che deriva da un'attività produttiva: un bene o un servizio ottenuto dalla trasformazione di altri beni o servizi

Il Codice civile, all'art. 810 definisce il bene così: "Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti".

Un servizio è invece il "risultato di ogni attività svolta dall’uomo direttamente attraverso il proprio lavoro, oppure indirettamente, attraverso beni economici, allo scopo di soddisfare propri bisogni" (definizione tratta da Enciclopedia Treccani on-line: http://www.treccani.it/enciclopedia/servizio).

I beni possono essere materiali (ad esempio un edificio, un automezzo), o immateriali (ad esempio un brevetto).

I servizi hanno sempre natura immateriale, ossia si esauriscono nel momento in cui vengono realizzati (ad esempio una consulenza,un trasporto).

Le materie prime

In senso letterale è: "ogni materia fornita dalla natura e base di successive lavorazioni" (definizione tratta da Enciclopedia Treccani on-line: http://www.treccani.it/enciclopedia/materia)

Più specificamente, in economia, è ogni materia o elemento di cui ci si serve per produrre, anche se a sua volta è derivante da un altra attività produttiva (ossia è a sua volta un prodotto).

Ciò che è prodotto per una attività produttiva, potrebbe essere materia prima per un'altra.

Ad esempio: la carta è il prodotto dell'industria grafica, ma è la materia prima dell'industria della stampa

I beni strumentali

Sono quei beni (materiali e immateriali) che hanno la funzione, mediante il loro utilizzo continuativo, di concorrere al profitto di un impresa, senza tradursi in denaro attraverso la vendita. Sono detti anche cespiti. Possiamo in certi casi chiamarli anche attrezzature.

Esempi:

I mezzi della produzione

Beni strumentali e materie prime, assieme, costituiscono i mezzi della produzione.

Il lavoro pertanto agisce sui mezzi della produzione, utilizzando i beni strumentali e trasformando con essi, direttamente o indirettamente, le materie prime.

Impresa, azienda, ditta, società

L'impresa è l'attività esercitata dall'imprenditore. Questi è definito dal codice civile (art. 2082) come: "chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi". E' un concetto giuridico.

L'azienda è l'insieme dei mezzi (immobili, attrezzature, personale, metodi, procedure...) con cui viene esercitata l'attività di impresa. E' un concetto economico.

La ditta è la denominazione commerciale (e l'eventuale logo) dell'impresa.

La società è una specifica tipologia di impresa: è un soggetto giuridico esercente attività di impresa. Il codice civile (art. 2247), stabilisce che "con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica, allo scopo di dividerne gli utili"

Utili, costi e ricavi

L'utile è l'eccedenza dei ricavi sui costi che si ottiene da un'attività di impresa.

In pratica:

UTILE = RICAVI - COSTI

Attenzione pertanto a non confondere i costi con gli utili!

Prezzo

Il prezzo è il valore economico di un singolo prodotto (bene o servizio).

Il ricavo che consegue dalla vendita di una certa quantità di prodotti è dato da:

RICAVO = PREZZO DEL SINGOLO PRODOTTO * QUANTITA' DI PRODOTTI VENDUTI

Costi fissi, costi variabili e costi marginali

I costi di produzione sono dati dalla somma dei costi fissi e dei costi variabili.

COSTI DI PRODUZIONE = COSTI FISSI + COSTI VARIABILI

Questi costi si riferiscono all'intera produzione. Se invece li riferiamo a un singolo prodotto abbiamo:

I costi variabili sono dati dalla somma dei costi marginali.

COSTI VARIABILI = ∑ COSTI MARGINALI

Pareggio

Il pareggio rappresenta la situazione in cui i ricavi coprono tutti i costi della produzione (costi fissi e costi variabili).

Trovare il punto di pareggio significherà pertanto trovare la quantità di singoli prodotti che sarà necessario produrre e vendere affinché i ricavi coprano tutti i costi della produzione (costi fissi e costi variabili).

E' evidente che al punto di pareggio l'utile sarà zero.

In inglese viene chiamato anche break even point.

Facciamo ora un esempio molto semplice e banale, che però ci serve ad utilizzare e a capire un po' dei concetti e dei termini utilizzati:

Il signor Citroni decide di produrre e vendere spremute di arancia.

Compra delle arance, dei bicchieri di carta usa-e-getta e uno spremiagrumi.

Decide che ogni spremuta sarà fatta con due arance.

Paga lo spremiagrumi 5 euro. 

Paga le arance 20 centesimi di euro l'una. Usiamo i decimali: 0,20€ l'una.

Paga i bicchieri di carta usa-e-getta 10 centesimi di euro l'uno. Usiamo i decimali: 0,10€ l'uno.

Il signor Citroni decide di vendere le spremute a 0,75€.

Proviamo a rispondere alle seguenti domande:

  1. che figura rappresenta il signor Citroni?
  2. che cosa rappresenta l'attività di produzione e vendita di spremute d'arancia del signor Citroni?
  3. cosa rappresenta lo spremiagrumi?
  4. cosa rappresentano le arance?
  5. cosa rappresentano i bicchieri di carta usa-e-getta?
  6. cosa rappresentano le spremute?
  7. come dovrà fare affinché i ricavi coprano i costi della produzione?
  8. quanto vale il costo fisso della produzione di spremute d'arancia del signor Citroni?
  9. quanto vale il costo marginale della produzione di spremute d'arancia del signor Citroni?
  10. Supponiamo che il signor Citroni produca e venda 40 spremute, utilizzando tutte le arance e i bicchieri che ha acquistato:

  11. quanto vale il costo variabile della produzione di spremute d'arancia del signor Citroni?
  12. quanto vale il costo della produzione di spremute d'arancia del signor Citroni?
  13. quanto vale il ricavo della vendita di spremute d'arancia del signor Citroni?
  14. quanto vale l'utile della vendita di spremute d'arancia del signor Citroni?
  15. Supponiamo invece che il signor Citroni produca e venda 80 spremute, utilizzando tutte le arance e i bicchieri che ha acquistato:

  16. quanto vale il costo variabile della produzione di spremute d'arancia del signor Citroni?
  17. quanto vale il costo della produzione di spremute d'arancia del signor Citroni?
  18. quanto vale il ricavo della vendita di spremute d'arancia del signor Citroni?
  19. quanto vale l'utile della vendita di spremute d'arancia del signor Citroni?

  20. E quale sarà il punto di pareggio?
  21. E supponiamo ora che il signor Citroni, visto il grande successo delle sue spremute che tutto il quartiere desidera, decida di venderle a 2€ l'una, e ne produca 100, e siccome sono così buone, riesca a venderle tutte lo stesso. In questo caso:

  22. quanto vale il costo fisso?
  23. quanto vale il costo marginale?
  24. quanto vale il costo variabile?
  25. quanto vale il costo della produzione?
  26. quanto vale il ricavo?
  27. quanto vale l'utile?
  28. quale sarà il punto di pareggio?

Analisi del problema

Scriviamo in forma simbolica i concetti visti:

U: utile
R: ricavo
C: costo complessivo
P: prezzo
CV: costo variabile
CF: costo fisso
CM: costo marginale
Qp: quantità di prodotti effettivamente prodotti
Qv: quantità di prodotti venduti

possiamo così scrivere, in forma simbolica, le relazioni già descritte:

U = R - C

C = CF + CV

CV = ∑CM

Nell'ipotesi fatta, particolarmente semplice, i costi marginali si mantengono costanti (ossia Citroni paga le arance e i bicchieri sempre lo stesso, indipendentemente da quanti ne compra), quindi sarà:

CV = CM*Qp

Anche il prezzo è costante, nel senso che il prezzo rimane lo stesso indipendentemente da quante spremute vengono vendute.

R = P*Qv

e sostituendo la terza nella seconda abbiamo:

C = CM*Qp + CF

e a sua volta sostituendo questa, e la quarta, nella prima avremo:

U = P*Qv - CM*Qp - CF

e, nell'ipotesi particolare, ma molto più semplice da analizzare, in cui tutti i prodotti effettivamente prodotti verranno venduti, sarà:

Qp = Qv

chiamiamo allora Q la quantità di prodotti sia realizzati sia venduti:

Q = Qp=Qv

possiamo scrivere, raccogliendo q:

U = (P - CM)*Q - CF

che è una relazione molto comoda da utilizzare. La si legga attentamente dando ad ogni simbolo il suo corretto significato!

Essa consente di trovare quanto vale l'utile, una volta che è stato assegnato il prezzo di vendita del singolo prodotto, ed è nota la quantità di prodotti realizzati e venduti, il costo fisso e il costo marginale.

Le precedenti relazioni possono inoltre, per esempio, essere utilizzate per trovare il punto di pareggio.

Ricordiamo infatti che abbiamo definito il pareggio come la situazione in cui i ricavi coprono tutti i costi della produzione (costi fissi e costi variabili) e che il punto di pareggio rappresenta la quantità di singoli prodotti che sarà necessario produrre e vendere affinché i ricavi coprano tutti i costi della produzione,  e che pertanto al punto di pareggio l'utile è pari a zero.

Possiamo allora scrivere la precedente relazione, in cui tutti i prodotti realizzati venivano venduti, ponendo U = 0:

0 = (P - CM)*Q - CF

che, risolvendola rispetto a Q, che ora è un'incognita, e potremmo chiamarla "la quantità che mi dà il punto di pareggio" Qpp, e dà:

Q = Qpp = CF/(P - CM)

Possiamo anche analizzare la cosa in forma tabellare:

q
CF
CM
CV
C
P
R
U
0
5
0,50
0
5
0,75
0
-5
1
5
0,50
0,50
5,50
0,75
0,75
-4,75
2
5
0,50
1
6
0,75
1,50
-4,50
...
...
...
...
...
...
...
...
19
5
0,50
9,50
14,50
0,75
14,25
-0,25
20
5
0,50
10
15
0,75
15
0
21
5
0,50
10,50
15,50
0,75
15,75
0,25
...
...
...
...
...
...
...
...
40
5
0,50
20
25
0,75
30
5

La riga evidenziata in giallo rappresenta la condizione di pareggio (il punto di pareggio)

Queste relazioni sono suscettibile di un'interessante, e utile, rappresentazione grafica, che può essere utilizzata anche per i casi più complessi.


Ricordiamo che nel piano cartesiano la pendenza di una linea è data dal rapporto tra l'incremento delle ordinate e quello delle ascisse. Se la pendenza è costante allora quella linea è una retta.

È poi possibile definire il costo fisso unitario, come:

CFU = CF /Qp

dove si vede che all'aumentare della quantità di prodotti realizzati, il CFU tende a zero.

Il Costo unitario invece sarà:

CU = C/Qp

e quindi sarà:

CU = CFU + CVU

Ma CVU, il costo variabile unitario, nel caso che il costo marginale sia costante, coincide con il costo marginale stesso, per cui:

CU = CF/Qp + CM

dove si vede che all'aumentare della quantità di prodotti realizzati, il CU tenderà a eguagliare il costo marginale.


Costi, ricavi e quantità riferite a un periodo temporale

Nell'esempio fatto, volutamente molto semplice, abbiamo fatto riferimento a un solo lotto di produzione, immaginando che il bene strumentale fosse utilizzato per quel solo lotto di produzione. Un po' come se il signor Citroni, dopo avere spremuto le arance che ha acquietato e avere venduto le relative spremute (il lotto di produzione) avesse dismesso lo spremiagrumi e si fosse messo a fare altro.

Ma spesso non è sul singolo lotto di produzione che dobbiamo ragionare, ma su un certo periodo, ad esempio su un'annualità. E i beni strumentali in genere hanno una vita produttiva che dura diverse annualità.

Potremo comunque rifare i ragionamenti visti prima parlando di costi (fissi e variabili) annuali,  di ricavi annuali, di utili annuali e, ancora, di quantità prodotte e/o venute annualmente.

Ovviamente le cose non sono sempre così semplici...

Abbiamo fin qui identificato i costi variabili con il costo delle materie prime, ma in genere ci sono anche altri costi variabili: per esempio il signor Citroni è imprenditore di se stesso, non ha dovuto sostenere dei costi del lavoro, e il costo del lavoro può essere sia un costo fisso, sia un costo variabile. Discuteremo questo aspetto più avanti.

Abbiamo fatto anche l'ipotesi che il costo marginale sia sempre lo stesso, indipendentemente da quante materie prime vengono acquistate, ma anche in questo caso non è sempre così: acquistandone molte si potranno ottenere dai fornitori di aranche dei prezzi delle stesse inferiori, facendo così delle economie di scala.

Ma potrebbe anche darsi il caso che, se la domanda di prodotti aumentasse di molto, la produzione dovrebbe adeguarsi, e potrebbe diventare meno efficiente, per lo meno nel breve periodo. Nel nostro semplice esempio, potrebbe darsi il caso che se il signor Citroni dovesse produrre 24 ore al giorno, sarebbe costretto ad assumere un aiutante, e pagarlo. Potrebbe essere necessario fare nuovi investimenti (ad esempio uno spremiagrumi elettrico, più produttivo) per risucire a soddisfare la domanda, ma questo avverrò solo nel lungo periodo.

Abbiamo poi fatto l'ipotesi che tutte le materie prime diventassero prodotti, e che tutti i prodotti venissero venduti, ma non è sempre così, ovviamente, ci sarà dell'invenduto, e questo ovviamente costituisce un mancato ricavo, quindi a sua volta un costo.

Infine abbiamo lasciato che il signor Citroni stabilisse liberamente il prezzo, ma ovviamente sarà in questo vincolato dalle condizioni del mercato.

Analizzare i costi della produzione è quindi ovviamente più complesso, ma i concetti utilizzati qui continueranno a tornarci comodi.

Le materie prime

Appare subito evidente che il costo delle materie prime rappresenta un costo variabile. Infatti quante più unità di prodotto dobbiamo produrre, quante più materie prime dobbiamo acquistare, quindi i costi delle materie prime rientriano nella definizione di costo variabile: costi che dipendono dalla quantità prodotta.

Il costo del lavoro

Abbiamo qui identificato i costi variabili con il costo delle materie prime, e il costo fisso con il costo dei beni strumentali, ma non abbiamo considerato il costo del lavoro.

Il costo del lavoro può essere, a seconda dei casi, un costo fisso, o un costo variabile. Per sapere di che tipo di costo si tratta, si pensi sempre alle definizioni di costi fissi e di costi variabili.

Quando il costo del lavoro non dipende dalla quantità di prodotti realizzati, è un costo fisso. Tale è il caso del costo relativo alle retribuzioni fisse dei dipendenti. Qualora ad esempio, per qualsiasi motivo, la produzione diminuisse, quel costo non cambierà.

Quando il costo del lavoro dipende dalla quantità di prodotti realizzati, è un costo variabile. Tele è il caso ad esempio del costo relativo alle retribuzione dei lavoratori assunti "a chiamata", o interinali, o pagati a cottimo, o ancora dei dipendenti quando chiamati a svolgere lavoro straordinario per coprire ad esempio dei picchi di produzione in determinati periodi. Chiaro che questo lavoro, avendo un costo solo quando la produzione aumenta, è un costo variabile.

L'ammortamento dei beni strumentali

Un bene strumentale ha in genere una vita utile produttiva che si protrae per più di una sola annualità.

Per ammortamento si intende un procedimento contabile con cui si ripartisce il costo di un bene strumentale sul numero di anni di presumibile utilizzo del bene strumentale stesso.

In pratica, ad esempio, se un bene strumentale ha una vita utile produttiva prevista di 10 anni, nel bilancio aziendale il costo di acquisto di quel bene non graverà per intero soltanto nel bilancio dell'anno in cui il bene è stato acquistato, ma graverà soltanto per un decimo del suo costo nei 10 anni consecutivi a partire da quello dell'acquisto.

In altre parole in ciascun bilancio annuale comparirà la quota annua di ammortamento, ossia:

QUOTA ANNUA AMMORTAMENTO = COSTO ACQUISTO DEL BENE STRUMENTALE / ANNI DI VITA PRODUTTIVA PREVISTA DEL BENE STRUMENTALE

La quota annua di ammortamento è quindi, evidentemente, un costo fisso.

Il Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 "Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi" (brevemente DPR 917/86: TUIR) e successive modificazioni, all'art. 102 ("Ammortamento dei beni materiali" ), comma 1, stabilisce che: "Le quote di ammortamento del costo dei beni materiali strumentali per l'esercizio dell'impresa sono deducibili a partire dall'esercizio di entrata in funzione del bene".

In pratica la quota annua di ammortamento, rientrando tra i costi di produzione, viene sottratta ai ricavi e va in diminuzione degli utili, con conseguente beneficio dal punto di vista fiscale. L'IRES, l'imposta sui redditi delle società, è calcolata infatti a partire dagli utili (attualmente, anno 2019, in una percentuale del 24%).

Gli anni di vita produttiva prevista per i vari beni strumentali sono stabiliti con decreto ministeriale (DM 31/12/1988 e successive modificazioni), ma sono indicati come "coefficienti di ammortamento del costo dei beni materiali strumentali impiegati nell'esercizio di attività commerciali, arti e professioni".

In pratica per passare dal coefficiente di ammortamento agli anni di vita produttiva prevista si deve fare:

ANNI DI VITA PRODUTTIVA PREVISTA = 100 / COEFFICIENTE DI AMMORTAMENTO

Giusto per avere un'idea, le "Industrie poligrafiche, editoriali ed affini", "Tipografie, litografie ed affini", appartengono al gruppo XV, specie 1a e i relativi coefficienti di ammortamento si possono consultare nel testo del citato decreto, all'allegato 15, sul sito della Gazzetta Ufficiale.

In esso si vede, ad esempio, che un computer utilizzato in un reparto di DTP, che può essere fatto rientrare tra i "Sistemi elettronici di fotoriproduzione, fotocomposizione e simili", ha un coefficiente di ammortamento del 25%, corrispondente a 4 anni, mentre un "fabbricato destinato all'industria" ha un coefficiente del 3%, corrispondente a circa 33 anni. Una macchina a foglio lito-offset non è stata contemplata, e dovrà presumibilmente essere fatta rientrare nei "Macchinari operatori automatici e per operazioni di finitura", che hanno un coefficiente del 15,5%, pari a poco più di 6 anni. Gli "Autoveicoli da trasporto (autoveicoli pesanti in genere, carrelli elevatori, mezzi di trasporto interno, ecc.)" hanno coefficiente 20%, pari a 5 anni. Le "Autovetture, motoveicoli e simili" hanno coefficiente 25%, pari a 4 anni.

Le economie di scala

Nel nostro esempio abbiamo fatto l'ipotesi che il costo marginale fosse sempre lo stesso, indipendentemente da quante materie prime vengono acquistate, ma anche in questo caso non è sempre così: acquistandone molte si potranno ottenere dei prezzi delle stesse inferiori, facendo così delle economie di scala.

Oppure, poiché spesso la produzione industriale comporta degli scarti, ossia non tutte le materie prime diventano prodotto, è comunque in genere vero che al crescere della produzione gli scarti tendono percentualmente a diminuire.

Possiamo definire le economie di scala come quelle economie legate a quei costi marginali che diminiscono all'aumentare della quantità prodotta.

In pratica quella che è stata rappresentata nel precedente grafico come la retta dei costi, con pendenza quindi costante, diventerebbe ora una curva che, pur sempre crescente, avrebbe la pendenza che man mano diminuisce al crescere della quantità di prodotti realizzati, quindi con concavità diretta verso il basso.

A causa delle economie di scala quindi il costo aggiuntivo per produrre le unità aggiuntive sarà inferiore di quello per produrre le precedenti. Riguardando la definizione di costo marginale si capisce che il costo marginale, grazie alle economie di scala, tende a diminuire.



Le inefficienze al crescere della produzione

Ci può essere (e in genere c'è) anche il caso in cui, quando la produzione deve crescere molto, perché c'è un aumento della domanda, essa possa diventare meno efficiente e le unità di prodotto aggiuntive costeranno un poco più delle precedenti. Ad esempio: sarà necessario retribuire i lavoratori per il lavoro straordinario (il costo orario del lavoro straordinario è maggiore).

I costi marginali, quindi, a un certo punto, cominceranno allora a crescere, e quindi nel grafico, la pendenza della curva dei costi crescerà.

La massimizzazione dell'utile



Nel grafico si vede che in genere la pendenza della curva dei costi (che rappresenta i costi marginali) al crescere della quantità di prodotti realizzati, dapprima decresce (per le economie di scala) e poi cresce (per le inefficienze dei costi di produzione). Nella parte degli utili positivi (oltre il punto di pareggio) ci sarà una certa quantità di prodotti realizzati che massimizzerà gli utili: quando le due curve sono alla massima distanza (purché ovviamente sia R > C, altrimenti si massimizzerebbero le perdite!)

Dal grafico si capisce che ciò avviene quanto il costo marginale eguaglia il prezzo (essendo i costi marginali rappresentati dalla pendenza della curva dei costi e il prezzo, se costante, rappresentato dalla pendenza della retta dei ricavi).

L'invenduto. Le rimanenze di magazzino

Abbiamo infine fatto l'ipotesi che tutti i prodotti realizzati venissero venduti, ma non è sempre così, ovviamente, ci sarà dell'invenduto, e questo ovviamente costituisce un mancato ricavo, quindi a sua volta un costo. Ciò che non viene venduto fa parte delle rimanenze di magazzino, di cui fanno parte anche ad esempio le materie prime acquistate e non utilizzate, e al termine del periodo considerato, costituiscono un costo.

Pertanto in questo caso Qr è diverso da Qv, e l'utile sarà dato da:

U = P*Qv - CM*Qr - CF

e se chiamiamo Qi la quantità invenduta, ossia:

Qi = Qr - Qv

per cui:

Qv = Qr - Qi

risulterà:

U = P*Qr - P*Qi - CM*Qr - CF

ossia:

U = (P - CM) * Qr - CF - P*Qi

dove si vede che la quantità invenduta porta, ovviamente, a una diminuzione degli utili

Il periodo di rimborso

Il periodo di rimborso ("Pay Back Period", anche indicato con l'acronimo PBP in inglese), o anche periodo di ritorno dell'investimento, indica il tempo, espresso in anni, in cui l'investimento di un bene strumentale viene recuperato.

In altre parole è il tempo in cui i flussi di cassa cumulati eguagliano l’investimento iniziale. Per flusso di cassa cumulato si intende la somma algebrica dei flussi di cassa di più anni.

Il flusso di cassa è l'utile conseguito in un periodo considerato (R-C), tipicamente in un anno. I costi però sono al netto (cioè senza considerare) le quote annue di ammortamento, in quanto l'esborso per l'acquisto dei beni strumentali è considerato prima dell'istante in cui iniziano a produrre utili. Il termine flusso di cassa rende bene evibente il fatto che tali importi siano in entrata (i ricavi) o in uscita (i costi e gli investimenti).

Si consideri, per esempio l'acquisto di un bene strumentale che comporti un esborso di 20.000€, e il cui utilizzo comporti annualmente sia dei costi (senza considerare le quote annue di ammortamento, sia dei ricavi. che vengono rappresentati nella tabella che segue:

Anno
Investimenti
Ricavi
Costi
Utili
Utili Cumulati
0
20.000
0
0
- 20.000
- 20.000
1
0
4.000
400
+ 3.600
- 16.400
2
0
4.500
450
+ 4.050
- 12.350
3
0
5.000
500
+ 4.500
- 7.850
4
0
5.000
500
+ 4.500
- 3.350
5
0
5.000
550
+ 4.450
+ 1.100
6
0
5.000
600
+ 4.400
+ 5.500

In pratica, ogni anno, l'utile cumulato è dato dalla somma degli utili con gli utili degli anni precedenti.

Si vede come gli utili cumulati, nell'esempio considerato, cambino di segno durante il 5° anno di esercizio: in tale esercizio avverrà il recupero dell'investimento.

E' possibile rappresentare questo fatto con un intuitivo diagramma temporale che mostra il flusso di cassa di anno in anno:

Il periodo di rimborso è un parametro utile per giudicare la bontà di un investimento rispetto ad un altro, ad esempio quando si devono confrontare due possibili investimenti. E' sicuramente desiderabile che un investimento abbia un periodo di rimborso breve, ma è anche vero che è un parametro che nulla dice sulla bontà di un investimento dopo che esso è completamente rientrato.


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Livio Colombo
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